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giovedì 4 febbraio 2010

Questione femminile, delega e cooptazione, un sistema che non funziona

Angelica Lubrano - Partito Democratico Provincia di Savona

Che vi sia un vulnus nella nostra democrazia è opinione di tutti, altrimenti non saremmo qui a lavorare per realizzare un progetto riformatore capace di coniugare giustizia con libertà. Prendiamo il “suffragio universale”: è da appena 64 anni in Italia.
Il “suffragio universale” è la più alta espressione democratica, in quanto la politica diviene così il luogo in cui trovano composizione e riconoscimento gli interessi di tutti e tutti gli interessi trovano rappresentanza.
Ma questa è stata una conquista difficile e contrastata, persino Kant e Tocqueville consideravano il “suffragio universale” poco più di un dettaglio che poteva anche mancare per i neri per le donne e per i lavoratori. Resta innegabile però che i paesi più civili, più sviluppati e più democratici sono quelli in cui il suffragio universale ha avuto più antica tradizione (parlo della Nuova Zelanda 1893, Australia 1903, Finlandia 1906, Norvegia 1913 Danimarca 1915) che coincidono, guarda caso, con il grado di emancipazione e di partecipazione femminile più alta (verificare il dato dall’Afghanistan del burka alla Germania di Angela Merkel!).
In Italia vige per lo più la “delega” e “la cooptazione”: la prima esclude di fatto la rappresentanza, la seconda include ma con un vizio iniziale: “la subalternità alla compiacenza del principe”.
Che il sistema non funzioni si vede dallo stato delle cose.
Gli interessi non rappresentati sono quelli in questo paese più penalizzati.
Non parliamo dei neri, per amor di patria, ma donne e lavoratori hanno visto assottigliarsi la difesa dei loro interessi.
Meno lavoro più precario, meno scuola, meno servizi, meno previdenza, meno risorse con una forbice sempre più larga fra ricchezza e povertà.
Oggi l’Istat ha dato le cifre del lavoro femminile: appena il 46 % delle donne lavora a fronte dell’obiettivo di almeno il 60 % previsto dal Trattato di Lisbona.
La questione femminile deve diventare una grande questione nazionale. Ma la partecipazione è ancora inconsistente.
In Provincia di Savona, non in una Regione arretrata, molte Giunte sono prive di rappresentanza femminile, tanto che sarebbe necessario far intervenire il TAR come la Rete Interregionale delle Rose Rosse ha fatto in altre Province.
Questo vuoto di rappresentanza non può essere addebitato solo alle donne, costrette ad entrare in un mondo politico adattandosi a linguaggi, tempi, luoghi, modi pensati dagli uomini per gli uomini.
Il circolo vizioso nasce quando, in presenza di una tornata elettorale, la rappresentanza democratica s’incrocia con la necessità quasi obbligata di indicare il nome già famoso (ogni riferimento a presentatori e a veline è puramente casuale) e quindi capace di richiamare consenso.
La questione sembra apparentemente senza via d’uscita.
Apparentemente però perché il sistema sta facendo corto circuito; perché malgrado il trucco del nome nuovo, facce, modi e linguaggi restano sempre gli stessi e il numero degli stanchi, degli esuli della politica come li chiama Diamanti, si fa sempre più alto e ci ha già fatto perdere il governo dell’Italia e, qui, quello della Provincia.
Ora per sparigliare le carte fa la sua comparsa provvidenziale, come vieto alibi sempre a pronta presa quando non si hanno più argomenti, l’apertura alla società civile.
Siamo d’accordo, apriamoci alla “società civile” (ma chi mai ammetterà di appartenere a quella “incivile”?), ma respingo con forza e invito tutti a non fare che il tributo debba essere fatto ricadere ancora una volta sulla quota delle DONNE, reiterando i vecchi vizi.
L’obiettivo però è vincere la tornata elettorale e se noi ci poniamo uno scrupolo di responsabilità, in quanto non ci perdoneremmo di poter essere causa di un eventuale insuccesso, allora però la stessa assunzione di responsabilità va mostrata da chi si fa carico di scelte diverse, in caso di insuccesso nel nostro territorio.
Cosa finora non verificata.
Prestiamo la necessaria attenzione, evitiamo atteggiamenti sprezzanti verso la dignità di chi si è avvicinato all’impegno politico anche per trovare conforto e speranza di giustizia contro le sopraffazioni, l’arroganza, le prevaricazioni nei luoghi di lavoro, nelle scuole, negli ospedali, negli uffici e tutte le volte che il potere si trasforma in delirio di onnipotenza.
Le donne e gli uomini militanti rappresentano il patrimonio più prezioso, ma anche il più fragile. Bisogna averne rispetto.