Di Maglio Domenico
A mio giudizio oggi la sinistra Italiana sta faticosamente uscendo da una crisi teorica e programmatica, ma non può ancora contare sull’appoggio di un soggetto politico adeguato alle nuove sfide, una crisi che è stata anche organica con difficili relazioni tra se stessa e la società in generale, che non trovava più nella linea politica perseguita una risposta esauriente di identificazione.
Esistevano fino al 1989 molte tesi al riguardo della sinistra e del movimento socialista in generale, della socialdemocrazia, dei progressisti, ma due in particolare sono da ritenere degne di nota essendo estreme per concetto : l’avanguardia illuminata e la mobilitazione della base.
La prima concepiva l’istanza politica come l’unica capace di conoscere la verità, dove si identificava il partito come coscienza e sapienza e la grande massa a lui vicino come una specie di settore arretrato da mobilitare a comando.
Era in pratica la necessità di fondere il pensiero marxista alla classe operaia, una concezione oramai superata dalla storia che era caratterizzata da forti dosi di autoritarismo e verticismo.
La seconda tesi completamente opposta era quella della mobilitazione della base, ma anche questa sopravvalutava le potenzialità dei movimenti sociali che si ritenevano auto sufficienti, rifiutava in modo indiscriminato l’intervento di istanze politiche contribuendo spesso anche in modo non voluto alla divisione del movimento popolare stesso dal quale derivava.
Ma un’organizzazione politica è da ritenersi necessaria se è seria, perché bisogna essere capaci di contrapporsi in maniera vincente a forze immensamente più potenti economicamente che si oppongono alla trasformazione Riformista che mira all’equità sociale.
Senza un’istanza unitaria sarà molto difficile anche solo pensare di ristabilire un ordine istituzionale democratico vero, un obiettivo non raggiungibile senza una fase propositiva comune, capace di dotare milioni di uomini e donne di volontà condivisa, di un unico fine che è quello del bene sociale, del benessere distribuito.
E’ quindi possibile costruire una nuova forza politica Riformista adeguata alle sfide di oggi, del secolo nuovo, del nuovo millennio?
E’ possibile oltre che auspicabile, a condizione che esista una volontà unificatrice non solo verbale ma concreta, che si riconosca attorno a programmi costruiti insieme.
Ci sono situazioni che si possono trovare su un qualsiasi testo scolastico di storia che ci dicono chiaramente che l’unità e l’organizzazione politica e della società rappresentano un mix necessario.
Ricordiamo tutti il periodo del 1968 francese, le ribellioni di Haiti del 1988, i disordini Venezuelani degli anni 90, i “caseroleros” Argentini, tempi nei quali gran parte della popolazione impoverita si è ribellata assaltando i centri di rifornimento, occupando strade e interi quartieri, oppure era disposta a tutto per acquisire nuovi diritti e libertà.
Ebbene proprio ricordando i fatti Argentini si nota come nonostante la combattività e il carattere di massa, queste mobilitazioni non riuscirono allora a intaccare il sistema politico governativo, in Francia addirittura - con l’appello di De Gaulle alla nazione - il ’68 francese ottenne quasi l’effetto avverso a ciò che si proponeva.
Ma sempre le cronache storiche ci dicono che le cosiddette “rivoluzioni trionfanti” hanno dimostrato come si può degnamente ottenere risultati in presenza di programmi alternativi certi a carattere nazionale, unificando tutte le idee sociali e politiche, concentrando l’azione organizzata nell’esposizione dei progetti, nel percorso culturale e comunicativo ottenendo il consenso elettorale necessario.
Affinché l’azione politica si possa fondere in un progetto unico con la grande massa della società è di conseguenza necessario orientare e unificare i diversi processi e gli sforzi spontanei di tutti coloro che questi progetti promuovono.
Una solida coesione organizzativa faciliterà le capacità oggettive dell’agire comune, le lotte di un gruppo diventeranno le lotte di tutti.
Nella politica non è sufficiente avere ragione, ma bisogna avere ragione a tempo debito e poter contare sulla forza democratica per concretizzarla.
Al contrario, la sensazione di non contare su un’organizzazione solida, radicata, capace di ascoltare e l’insicurezza di poter mettere in pratica le proprie idee di rinnovamento per mancanza di volontà unitarie influiscono negativamente esercitando azioni paralizzanti dalle quali diverrà poi problematico venirne fuori.
Nonostante si riconoscano a carico della sinistra italiana errori compiuti negli anni scorsi, e anche vista la grande reazione del movimento stesso che ha portato anche successi elettorali più recenti, per iniziare un nuovo e deciso processo Riformista non è necessario fare tabula rasa e iniziare da zero, oppure tentare unire ciò che si è diviso negli anni alla ricerca soltanto di cartelli elettorali.
Dimenticare il passato, non imparare dalle sconfitte, lasciare da parte le proprie tradizioni significherebbe fare il gioco delle ideologie populistiche della destra, già impegnata a fondo per far sì che venga cancellata la memoria storica del Paese, delle lotte di Resistenza, non ricordare i passaggi del passato potrebbe anche rappresentare il modo migliore per non accumulare forze e per ricadere negli stessi errori.
Una vera forza politica Riformista trova maggiori consensi nella società in generale non se rinnega la propria storia, ma se la fa propria, se abbandona quello che viene definito il riduzionismo classista, facendosi carico della difesa di tutte le fasce sociali, non soltanto di quelle storicamente più vicine, tutte quelle fasce sociali escluse dal punto di vista culturale, sociale, economico, politico, affrontare a fondo e dare una prospettiva risolutoria ai problemi etnico culturali, di razza, di genere, di sesso, elaborare una politica ambientale corretta.
Per una sinistra che vuole governare un paese come il nostro non si tratta soltanto della difesa di tutte le fasce della popolazione discriminate e sfruttate, ma anche della necessità di comprendere tutto il potenziale trasformatore che questa parte di popolazione ha in se.
Risulterebbe controproducente che un soggetto Riformatore tenesse unicamente dentro di se solo i rappresentanti delle legittime rivendicazioni sociali a lui strettamente più vicine, ma al contrario dovrebbe sforzarsi di allargare il più possibile il campo, parlando a chi corre in campi avversi, coordinando tutte queste pratiche in un unico progetto politico, generando spazi di incontro affinché i diversi malesseri possano incontrarsi e crescere nella coscienza e in lotte comuni, creando una specie di “tensione costruttiva” interna fra movimenti sociali che restando nella loro autonomia non perdano le loro radici.
E’ molto difficile che un movimento che nasce della società, per quanto credibile, possa da solo mettere in campo un progetto nazionale.
Per questo che le forze della sinistra Riformista devono comprenderne a fondo la funzione che questi movimenti hanno, sostenendone le battaglie, ma senza pretendere di dominarli, di sostituirli, di assorbirli, semplicemente facendoli partecipi di un grande progetto comune.
Se la sinistra italiana aspira a costruire una forza Riformista di tipo nuovo, di ampio respiro, che si contrapponga al sistema attuale, deve poter contare su un’organizzazione che esprima un grande rispetto per i movimenti spontanei, che contribuisca al loro sviluppo autonomo, lasciando da parte qualsiasi tentativo manipolatorio, prendendo atto che questi movimenti possono avere molto da offrire, perché nelle pratiche quotidiane dove la politica fatica ad arrivare si possono scoprire nuove strade, idee, opportunità variegate, trovare risposte, e sarà proprio il compito della politica, della grande politica, attivare gli strumenti necessari a mettere in pratica le richieste della società.
A mio giudizio oggi la sinistra Italiana sta faticosamente uscendo da una crisi teorica e programmatica, ma non può ancora contare sull’appoggio di un soggetto politico adeguato alle nuove sfide, una crisi che è stata anche organica con difficili relazioni tra se stessa e la società in generale, che non trovava più nella linea politica perseguita una risposta esauriente di identificazione.
Esistevano fino al 1989 molte tesi al riguardo della sinistra e del movimento socialista in generale, della socialdemocrazia, dei progressisti, ma due in particolare sono da ritenere degne di nota essendo estreme per concetto : l’avanguardia illuminata e la mobilitazione della base.
La prima concepiva l’istanza politica come l’unica capace di conoscere la verità, dove si identificava il partito come coscienza e sapienza e la grande massa a lui vicino come una specie di settore arretrato da mobilitare a comando.
Era in pratica la necessità di fondere il pensiero marxista alla classe operaia, una concezione oramai superata dalla storia che era caratterizzata da forti dosi di autoritarismo e verticismo.
La seconda tesi completamente opposta era quella della mobilitazione della base, ma anche questa sopravvalutava le potenzialità dei movimenti sociali che si ritenevano auto sufficienti, rifiutava in modo indiscriminato l’intervento di istanze politiche contribuendo spesso anche in modo non voluto alla divisione del movimento popolare stesso dal quale derivava.
Ma un’organizzazione politica è da ritenersi necessaria se è seria, perché bisogna essere capaci di contrapporsi in maniera vincente a forze immensamente più potenti economicamente che si oppongono alla trasformazione Riformista che mira all’equità sociale.
Senza un’istanza unitaria sarà molto difficile anche solo pensare di ristabilire un ordine istituzionale democratico vero, un obiettivo non raggiungibile senza una fase propositiva comune, capace di dotare milioni di uomini e donne di volontà condivisa, di un unico fine che è quello del bene sociale, del benessere distribuito.
E’ quindi possibile costruire una nuova forza politica Riformista adeguata alle sfide di oggi, del secolo nuovo, del nuovo millennio?
E’ possibile oltre che auspicabile, a condizione che esista una volontà unificatrice non solo verbale ma concreta, che si riconosca attorno a programmi costruiti insieme.
Ci sono situazioni che si possono trovare su un qualsiasi testo scolastico di storia che ci dicono chiaramente che l’unità e l’organizzazione politica e della società rappresentano un mix necessario.
Ricordiamo tutti il periodo del 1968 francese, le ribellioni di Haiti del 1988, i disordini Venezuelani degli anni 90, i “caseroleros” Argentini, tempi nei quali gran parte della popolazione impoverita si è ribellata assaltando i centri di rifornimento, occupando strade e interi quartieri, oppure era disposta a tutto per acquisire nuovi diritti e libertà.
Ebbene proprio ricordando i fatti Argentini si nota come nonostante la combattività e il carattere di massa, queste mobilitazioni non riuscirono allora a intaccare il sistema politico governativo, in Francia addirittura - con l’appello di De Gaulle alla nazione - il ’68 francese ottenne quasi l’effetto avverso a ciò che si proponeva.
Ma sempre le cronache storiche ci dicono che le cosiddette “rivoluzioni trionfanti” hanno dimostrato come si può degnamente ottenere risultati in presenza di programmi alternativi certi a carattere nazionale, unificando tutte le idee sociali e politiche, concentrando l’azione organizzata nell’esposizione dei progetti, nel percorso culturale e comunicativo ottenendo il consenso elettorale necessario.
Affinché l’azione politica si possa fondere in un progetto unico con la grande massa della società è di conseguenza necessario orientare e unificare i diversi processi e gli sforzi spontanei di tutti coloro che questi progetti promuovono.
Una solida coesione organizzativa faciliterà le capacità oggettive dell’agire comune, le lotte di un gruppo diventeranno le lotte di tutti.
Nella politica non è sufficiente avere ragione, ma bisogna avere ragione a tempo debito e poter contare sulla forza democratica per concretizzarla.
Al contrario, la sensazione di non contare su un’organizzazione solida, radicata, capace di ascoltare e l’insicurezza di poter mettere in pratica le proprie idee di rinnovamento per mancanza di volontà unitarie influiscono negativamente esercitando azioni paralizzanti dalle quali diverrà poi problematico venirne fuori.
Nonostante si riconoscano a carico della sinistra italiana errori compiuti negli anni scorsi, e anche vista la grande reazione del movimento stesso che ha portato anche successi elettorali più recenti, per iniziare un nuovo e deciso processo Riformista non è necessario fare tabula rasa e iniziare da zero, oppure tentare unire ciò che si è diviso negli anni alla ricerca soltanto di cartelli elettorali.
Dimenticare il passato, non imparare dalle sconfitte, lasciare da parte le proprie tradizioni significherebbe fare il gioco delle ideologie populistiche della destra, già impegnata a fondo per far sì che venga cancellata la memoria storica del Paese, delle lotte di Resistenza, non ricordare i passaggi del passato potrebbe anche rappresentare il modo migliore per non accumulare forze e per ricadere negli stessi errori.
Una vera forza politica Riformista trova maggiori consensi nella società in generale non se rinnega la propria storia, ma se la fa propria, se abbandona quello che viene definito il riduzionismo classista, facendosi carico della difesa di tutte le fasce sociali, non soltanto di quelle storicamente più vicine, tutte quelle fasce sociali escluse dal punto di vista culturale, sociale, economico, politico, affrontare a fondo e dare una prospettiva risolutoria ai problemi etnico culturali, di razza, di genere, di sesso, elaborare una politica ambientale corretta.
Per una sinistra che vuole governare un paese come il nostro non si tratta soltanto della difesa di tutte le fasce della popolazione discriminate e sfruttate, ma anche della necessità di comprendere tutto il potenziale trasformatore che questa parte di popolazione ha in se.
Risulterebbe controproducente che un soggetto Riformatore tenesse unicamente dentro di se solo i rappresentanti delle legittime rivendicazioni sociali a lui strettamente più vicine, ma al contrario dovrebbe sforzarsi di allargare il più possibile il campo, parlando a chi corre in campi avversi, coordinando tutte queste pratiche in un unico progetto politico, generando spazi di incontro affinché i diversi malesseri possano incontrarsi e crescere nella coscienza e in lotte comuni, creando una specie di “tensione costruttiva” interna fra movimenti sociali che restando nella loro autonomia non perdano le loro radici.
E’ molto difficile che un movimento che nasce della società, per quanto credibile, possa da solo mettere in campo un progetto nazionale.
Per questo che le forze della sinistra Riformista devono comprenderne a fondo la funzione che questi movimenti hanno, sostenendone le battaglie, ma senza pretendere di dominarli, di sostituirli, di assorbirli, semplicemente facendoli partecipi di un grande progetto comune.
Se la sinistra italiana aspira a costruire una forza Riformista di tipo nuovo, di ampio respiro, che si contrapponga al sistema attuale, deve poter contare su un’organizzazione che esprima un grande rispetto per i movimenti spontanei, che contribuisca al loro sviluppo autonomo, lasciando da parte qualsiasi tentativo manipolatorio, prendendo atto che questi movimenti possono avere molto da offrire, perché nelle pratiche quotidiane dove la politica fatica ad arrivare si possono scoprire nuove strade, idee, opportunità variegate, trovare risposte, e sarà proprio il compito della politica, della grande politica, attivare gli strumenti necessari a mettere in pratica le richieste della società.