In questo inizio di millennio il processo evolutivo sociale dovuto a molteplici fattori di sviluppo non solo nella sfera economica e finanziaria, ma anche nelle correnti del pensiero filosofico con la rilettura degli eventi storici passati, ha portato il mondo politico complessivamente e non solo quello italiano, ma anche quello europeo e mondiale, a rivisitare ideologie considerate incancellabili.
In particolare la società politica ha già da qualche anno la tendenza a raggrupparsi, quasi in ogni nazione del mondo si presenta alle consultazioni elettorali in due schieramenti, conservatori e riformisti, destra e sinistra, ecc, questi schieramenti si distinguono tra loro per obiettivi, linee ideologiche, politiche economiche e sociali, tematiche ambientali o energetiche,
Oltre al mondo politico classico e istituzionale esiste però anche un altro mondo sempre in agitazione, composto da un gran numero di donne e uomini più o meno impegnati socialmente in gruppi, associazioni o movimenti di cittadini, che rappresentano tutte le varie domande che nascono dal vivere quotidiano di ognuno, domande sulla scuola, sulla salute, sui diritti, sul lavoro, sul disagio sociale, e molti altri quesiti ai quali le istituzioni dovrebbero dare risposte.
Ma nel nostro paese l’interlocutore principale dei cittadini, e cioè il mondo politico, ha subito frammentazioni tali da non essere più in grado di dare risposte soddisfacenti, se non di tipo populista da una parte e troppo deboli fino ad oggi dall’altra.
Questa frammentazione ha portato inoltre a disegnare contorni indefiniti anche al riguardo delle grandi contrapposizioni avvenute in passato, una polverizzazione che ha spazzato via i grandi partiti di massa sia di sinistra che di centro impedendo di fatto un’accelerazione del bipolarismo nel quale fin’ora solo la destra più conservatrice ha attecchito.
Un passato non troppo distante, fatto di contrapposizione tra le grandi ideologie dominanti come capitalismo e liberismo da una parte, Socialismo reale dall’altra, culminato negli anni ’50 e ’60 con la guerra fredda, che poi tanto fredda non era.
Il crollo del blocco Sovietico ha riaperto nuove prospettive sia nei paesi dell’Est che in ogni altra parte del globo, e se vogliamo a tutti i costi trovare un’espressione di uso comune possiamo ipotizzare che è venuto a mancare quell’equilibrio che teneva il mondo intero in una sorta di stand by più o meno pacifico, che giocava sul catastrofismo che sarebbe susseguito ad un conflitto nucleare del quale non sapremo mai quanto sia stato imminente.
Tutto questo è cambiato per fortuna di tutti.
Indubbiamente il nuovo corso delle politiche internazionali non possono essere esentate da un giudizio particolareggiato che si riallaccia al tema sopra citato, è del tutto evidente che il blocco capitalistico americano, unico rimasto indenne e sopravvissuto allo scontro est ovest, un blocco occidentale inteso non certo come continente americano nella sua totalità, ma soltanto come america del nord, gli USA in particolar modo, hanno avuto la possibilità di gestire in modi soffusi la loro supremazia globale sia con il controllo della Banca Mondiale o del FMI, o in modo palese come l’utopia dell’esportazione coatta del proprio modello di democrazia, auspicabile in molte sue forme ma per altro discutibile in alcune altre.
L’esempio dell’esportazione del modello americano è calzante perché recente, ma ci dice che non può essere imposto in nessun paese del mondo, proprio perché ogni paese del mondo è diverso dagli altri per formazione culturale, per la propria storia, per le politiche perseguite, per formazione religiosa.
La nuova Presidenza democratica USA sta infatti tentando di correggere ciò che il predecessore Repubblicano aveva seminato in tutto il mondo con non grandi risultati.
Ma quella strada era stata intrapresa e non sarà semplice e immediato aprire nuove vie.
Bisognerebbe domandarsi come si era potuto arrivare a tutto questo, e se questa ricerca di conflitto sia stato compatibile con l’evoluzione del mondo, chiedersi se sia possibile e se si riuscirà a imporre un percorso politico nuovo, democratico, in paesi come l’Iraq tanto per citarne uno, di tradizione profondamente islamica, tribale, che non si riconosce nelle tradizioni occidentali, ne’ europee ne’ tanto meno nello stile di vita della modernità, uno stile consumistico sfrenato che ha già dato i primi segni della deleterietà sociale che la crisi ha fatto esplodere.
Ecco dunque apparire all’orizzonte la parola chiave che permette di giustificare in qualche modo, sia in occidente che in medio oriente, grossolani e tragici errori strategici : la ricerca di imporre un proprio Dio.
E proprio nel Medio Oriente uno dei principali partner delle potenze occidentali, L’Arabia Saudita, ha scritto a chiare lettere nella sua bandiera che “l’unico Dio è Allah e Maometto ne è l’unico profeta”,
Si tenta quindi di trasformare in guerre religiose conflitti nati essenzialmente per interessi economici, nascosti sotto la falsa ricerca di armi letali per l’umanità, armi spesso inesistenti come è stato provato più volte.
Ma qui nasce l’attenzione che dobbiamo avere nel concetto di religione, di laicità, e proprio quest’ultimo termine sta diventando oggetto di discussioni, spesso confuse e senza sintesi costruttiva finale.
La stessa Chiesa cattolica per voce di Benedetto XVI da molto tempo lancia messaggi di pace, di tolleranza, di riconoscimento in altri tempi impensabile, ma non sempre sono accolti.
Laicità è una parola molto difficile nella sua semplicità, una parola che non da adito a significati diversi da quello che vuole rappresentare, ma che invece viene interpretata a volte in modo disordinato, se non quando viene carpita da chi ne vuole fare una bandiera ideale in termini di opportunismo politico e sociale.
E’ quindi necessario proporre alcune riflessioni sul termine stesso di laicità, affinché la conoscenza più completa possa essere inizio di valutazione collettiva e discussione culturale seria.
Il termine laicità va spiegato innanzitutto in negativo, quindi capire cosa non significa, cosa non è la laicità; in genere viene associato nelle discussioni tematiche quando ci si riferisce a ciò che viene riassunto nella complessità dei rapporti tra lo Stato e le Chiese.
Possiamo affermare che non ha caratteri di laicità, cioè non è laico, un ‘ordinamento basato sul confessionalismo, cioè su una sorta di fusione o di legame privilegiato tra uno Stato e una o più chiese.
Per esempio nella sua scrittura formale possiamo affermare senza temere di essere smentiti che si trattava di uno Stato di tipologia prettamente confessionale quello che vigeva sotto l’ordinamento dello Statuto Albertino, come dimostrato dalla storia e dagli atti conseguenti di quel periodo.
Basta ricordare l’art 1 di quello Statuto che ha regolato il nostro paese fino alla costituzione dello Stato Repubblicano, questo articolo recitava che la religione cattolica apostolica romana è religione di stato e tutte le altre confessioni religiose erano tollerate.
Si evince quindi che lo Stato stabiliva una relazione di tipo privilegiato con un’unica confessione religiosa, in questo caso la religione cattolica.
E’ palesemente evidente che non esisteva nei fatti una vera e propria libertà religiosa, ma esisteva soltanto una tolleranza religiosa verso confessioni diverse da quella cattolica, si stabiliva un principio, una classifica di merito secondo la quale esisteva riconosciuta dallo Stato una religione di serie A e altre religioni “tollerate” di serie B.
E’ questa un’impostazione tipicamente riconosciuta come modello di uno Stato estremamente di tipo da confessionale, quindi nulla a che fare con ciò che noi intendiamo come modello di Stato laico, anche se molti per opportunismo personale volutamente continuano a fare confusione.
Al contrario uno Stato laico che voglia definirsi tale, è uno Stato che conosce e attua una netta separazione tra le chiese nella loro totalità di confessioni religiose qualunque esse siano o rappresentino, e lo Stato istituzionale.
Quindi una vera e propria separazione, ma le separazioni che abbiano queste caratteristiche di grande influenza sociale possono essere paragonate alle separazioni tra coniugi, e come tali possono avvenire in modo amichevole o in modo ostile, conflittuale, lasciando pesanti strascichi nelle popolazioni e contrapposizioni difficilmente risanabili in tempi brevi.
Se prendiamo la seconda ipotesi di separazione non amichevole, così come è stata nei paesi del socialismo reale, come lo è stato per lungo tempo in Francia, più che di laicità bisognerebbe parlare di laicismo, perché in questi casi lo Stato è vero che non ha un rapporto particolare con una determinata chiesa o con una determinata religione, ma è come se pensasse se stesso, come se avesse una propria religione laica, alternativa, è come se volesse negare ogni rapporto con le chiese perché egli stesso si ritiene una chiesa, con le proprie credenze che definisce laiche, repubblicane, con le proprie ideologie di Stato, per cui il cittadino deve scegliere obbligatoriamente l’ideologia di Stato e relegare solo nel privato le altre ed eventuali credenze religiose.
Questa non è laicità, ma laicismo, anche se qualcuno continua a chiamarla laicità identificandola erroneamente con laicismo.
Dove quindi si può parlare veramente di laicità ?
Se ne parla quando la separazione tra Stato e chiese è di tipo amichevole, quando cioè lo stato non assume su di se una determinata religione ma da un ampia libertà religiosa ai suoi cittadini, da loro la possibilità di testimoniare la propria fede religiosa e le proprie credenze non solo in privato ma anche in pubblico, perché le religioni hanno la naturale tendenza ad avere un ruolo pubblico, che non vuol dire un ruolo statale, non c’è una religione di stato, c’è però uno spazio pubblico dove le religioni sono chiamate a dire la loro non solo sugli aspetti interni del singolo individuo, ma anche sulle grandi sfide etiche e politiche che riguardano la nostra società, e anche sulla legislazione.
Ma quando però entrano nella sfera pubblica esse devono rispettare i criteri della sfera pubblica che sono basati sul libero convincimento in libertà tra i cittadini.
E quindi solo uno stato laico, cioè non ostile alle religioni, che può regolare in modi diversi i rapporti con le varie credenze religiose, può avere accanto alla libertà religiosa riconosciuta per tutti anche dei regimi pattizzi, per esempio il concordato, nettamente migliorato con la revisione abbastanza recente avvenuta negli anni ‘80, oppure con l’impegno preso con le altre confessioni religiose per regolare meglio la collaborazione reciproca dello stato e delle chiese allo sviluppo umano e allo sviluppo sociale in generale, anche se queste potremmo catalogarle come scelte abbastanza particolari.
La cosa importante da ricordare oggi è la considerazione che il laico non è colui che non crede, ed è bene sottolineare questo aspetto dato che a volte da vita a scontri virulenti e difficilmente controllabili, si può benissimo andare a Messa o rivolgersi alla Mecca ed essere laici.
Il laico e la laicità dell’ordinamento è quindi il fatto che tutti coloro portatori di particolari tendenze possano avere il diritto di manifestarne anche la valenza pubblica, ma non di costruire uno stato che si fondi su una distinzione tra religioni di serie A che credono in una determinata fede religiosa o laica, e ordinamenti religiosi di serie B, perché ciò che fonda la laicità dello Stato non è l'essere credenti o non credenti, ma è l’unità della figura di ogni cittadino.
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