Quaderni di Frontiera é uno spazio di cultura politica, uno strumento di riflessione pubblica che ha come obiettivo quello di alimentare la discussione allargandone il campo a professionalità e competenze. E’ un luogo dove possono incontrarsi e confrontarsi le diverse tradizioni culturali e politiche, sviluppando idee e proposte in grado di contribuire a ridefinire il campo progressista, guardando all’Europa e alle sfide internazionali.

venerdì 4 dicembre 2009

Stiamo perdendo la nostra credibilità internazionale.

Il nostro paese è stato uno fra quelli che maggiormente si sono impegnati e che in gran misura si sono spesi per la costruzione dell’Unione Europea così come la conosciamo oggi.
Da più di cinquant’anni l’Italia ha inquadrato nell’Europa uno strumento prioritario per l’espansione e per la proiezione fuori dai propri confini delle politiche nazionali, ma ha individuato anche nell’Unione Europea il mezzo per svolgere un’azione unitaria esterna al continente, un'azione che a ruota potesse trascinarsi dietro le opportunità dei singoli Stati, e quindi anche del nostro.
L’Italia come noto è un paese fondatore della Comunità Europea, si è adoperato con coerenza da subito per la sua costruzione, per promuovere il mercato interno, per rafforzarne le Istituzioni politiche, per attivare allargamenti ad altri paesi, alcuni tutt’ora in corso, alcuni avvenuti, altri in procinto di entrare, altri in uno stato di osservati speciali.
Lo sforzo dell’Italia è dunque stato sempre costante e convinto compreso l'impegno per l'introduzione dell’Euro come moneta unica.
Ma l’Unione Europea per l'Italia è soprattutto vista come superamento storico delle divisioni territoriali del continente, una terra antica, un territorio indebolito e distrutto dalle tragedie del dopoguerra, soggiogato dal nazismo e dal fascismo, e negli anni subito seguenti al 1945 con l’innescarsi della guerra fredda portata avanti dai due grandi blocchi per lunghi anni.
Quindi siamo stati fra i più grandi paesi europei e possiamo affermare che l’Italia ha svolto un ruolo fondamentale contagiando altri scettici con le sue convinzioni sulle potenzialità del progetto europeo, indicato come in divenire un forte soggetto politico ed economico.
L’evoluzione politica internazionale portata dagli scossoni del 1989 ha rafforzato la giustezza di questa indicazione e l’Europa si è cosaì trovata di fronte un cammino già tracciato ma che doveva sostenere ed espandere rafforzando quelle linee base già definite.
L’Italia in questa fase intorno alla fine degli anni ’80 e fino ad oggi ha consolidato nel suo quadro istituzionale nazionale, nei suoi attori politici nazionali la consapevolezza che il tracciato intrapreso doveva essere sostenuto e continuamente adattato e aggiornato con azioni diplomatiche e di politica estera.
Il ruolo Italiano è quindi sempre stato apprezzato e ascoltato come riconoscimento convinto dello sforzo fatto nel tempo.
Ma la nostra credibilità parrebbe al tramonto.
Non ci sono dubbi che lo scadimento della politica portata avanti dal 2008 ad oggi dal governo conservatore della destra italiana ha gettato il nostro paese in una fase di accantonamento, di poca se non nulla considerazione, un governo che agisce e si fa riconoscere con la sua visione protezionistica, con i suoi plateali e vergognosi rigurgiti razzisti, una classe politica che molte volte ha chiaramente dichiarato il suo antieuropeismo.
E così il nostro paese ha perso tutto il peso che aveva conquistato sul campo della costruzione dell’Unione.
Siamo stati messi all'angolo.
Questo è un fatto molto preoccupante che troppo spesso viene derubricato dall'attuale governo Italiano come una cosa non determinante.
Un grosso sbaglio politico che si tenta di mitigare con annunci populisti e francamente non credibili.
Siamo quasi fuori, questo è il punto vero.
Ma se l’Italia vuole continuare a incidere sul futuro dell’Europa che sempre più farà valere il suo peso giuridico e politico dovrà riprendersi il suo ruolo, riconquistare la sua credibilità perduta.
Di fronte abbiamo almeno un paio di problemi da risolvere oltre a quello sopra accennato, almeno se vogliamo in qualche modo incidere sul futuro europeo che ci avvolgerà.
Certo, possiamo anche defilarci, ma sarebbe un gorsso errore che pagheremmo molto caro.
Le questioni sono queste :
come riprendere credibilità e quindi peso decisionale ?
come evitare una sotto rappresentazione dei nostri interessi in un quadro europeo che si sposta sempre più verso le zone centro orientali con aumento di concorrenza conseguente?
Guardiamo cosa avviene all’esterno del perimetro europeo.
Oltre i confini dell’Unione molto è cambiato, la fine del bipolarismo dei due blocchi occidentale-orientale ha provocato una crescente dilatazione di vari poteri, da quello economico a quello politico, ma anche dei poteri militari.
Ma due tendenze dovrebbero preoccupare più di altre e richiamare attente valutazioni.
La prima è che le potenze in costante ascesa hanno frenato la corsa europea che rischia un rallentamento della sua crescita e della sua velocità di sviluppo.
La seconda riguarda la strategia americana con le sue tendenze a considerare non più centrale il ruolo dell’Europa.
Per impostare una politica che risponda a queste due cose brevemente accennate l’Europa dovrebbe avviare o completare alcuni suoi aspetti, strategici e di equilibrio al suo interno, per esempio orientando grandi risorse verso innovazione e infrastrutture, difendendo quei settori dell’economia che sono strategicamente suoi, avviando politiche energetiche collegiali, attuando politiche occupazionali e sociali condivise e penetranti.
Questo almeno per provare a rimanere nella competitività globale del mercato.
Su questa capacità si potrà misurare il valore aggiunto dell’Unione Europea.
Gli Stati nazionali presi in modo singolo non potrebbero affrontare sfide di tale portata e non sarebbero in grado di gestire una competizione globale come quella in corso.
Qui entrano in gioco tutti gli aspetti che portano alla governance internazionale economica, e l’Unione Europea dovrebbe imporsi nell’eliminazione di ogni vincolo ostativo allo sviluppo e alla competizione che troppo spesso vanno a indebolire progetti fattibili.
Ma non solo di questioni economiche e finanziarie si tratta.
Anche sotto l’aspetto politico e della sicurezza servirebbero passi compiuti celermente in avanti.
La transizione che stiamo vivendo indica la necessità di una convergenza della politica estera tra i vari Stati europei nei confronti di attori che emergono con tutta la loro potenza come la Russia, la Cina o l’India, una politica estera europea che guardi e sviluppi una fattiva cooperazione verso est ma anche verso sud, in quell'area mediterranea a noi più vicina.
Possiamo quindi dire che se la prima fase della costruzione dell’Europa ha visto una risposta a problemi e sfide interne con il Mercato unico fino all’entrata in uso della moneta unica, l’Euro, la seconda fase, quella che viviamo oggi, deve rispondere a sfide esterne, sfide energetiche, ambientali, occupazionali, di difesa, di sicurezza e così via.
Guardiamo cos’era il nostro continente.
Durante il bipolarismo mondiale con la contrapposizione Est-Ovest, l’Europa era una zona considerata solamente sotto l'aspetto strategico e aveva una garanzia di sicurezza, una sponda nella sua zona occidentale costituita dall’alleanza con gli USA.
Oggi invece è l’Unione Europea come soggetto a se stante che deve evolvere e diventare lei stessa un attore strategico, certamente legato agli Stati Uniti come partner di favore (ricordiamo la NATO) ma allargando autonomamente le sue relazioni di cooperazione anche con altri poli del sistema internazionale.
Agire come "Unione Europea" e non come singoli stati "dell'Europa."
E' questo uno degli obiettivi del Trattato di Lisbona.
Pertanto non solo il sistema europeo deve evolvere e aggiornarsi ma anche ciò che conosciamo come “atlantismo” va riaggiornato, e qui l’Unione Europea dovrebbe essere in grado di elaborare in modo autonomo le proprie posizioni per bilanciare la partnership atlantica.
Questo costerà sforzi uleriori all’Europa, e costerà anche come maggiore impegno nelle responsabilità internazionali sui vari teatri di instabilità.
In sintesi potremmo dire che per non restare tagliati fuori la necessità di combinare europeismo e atlantismo diviene determinante verso l'apertura di prospettive nuove.
Ciò che è successo in Iraq, con le posizioni di Francia e di Germania, ha infatti dimostrato che l’Unione Europea non può prescindere da una visione cooperativa tra altlantismo ed europeismo. L’evoluzione dell’Unione Europea come organismo istituzionale forte diviene perciò determinante, i suoi confini si espanderanno e presto saranno 30 o forse più gli Stati che entreranno a farne parte, ma aumenteranno anche le diversità da governare al suo interno, e cresceranno anche pressioni dissuasive, diffuse dai governi conservatori nell’opinione pubblica che ostacoleranno il progressivo rafforzamento europeo.
Una visione miope e protezionistica rischia di gettarci molto indietro, ma bisognerebbe capire che è in questa Europa che andranno a collocarsi i futuri interessi del nostro paese.
Purtroppo il nostro governo non ha ben chiaro questo concetto e ha distrutto quanto di positivo eravamo riusciti a conquistarci in 50 anni di lavoro.