L’esperienza storica del cattolicesimo democratico europeo e del socialismo sono state e sono senza dubbio le basi di partenza su cui poggiare nuove prospettive per il futuro del nostro continente, per ribaltare le sue potenzialità su scala mondiale.
Far ritornare l’Europa come punto di riferimento è uno degli obiettivi che le forze democratiche e progressiste dovrebbero porsi a contrasto del conservatorismo delle destre ora predominanti nella maggior parte dei paesi del vecchio continente.
Queste esperienze, non certamente le uniche, ma le più importanti dal punto di vista delle lotte e delle rivendicazioni per l’emancipazione dell’uomo, pur avendo come fine una comune visione hanno in se delle differenze.
Ma senza fare alcuna opera di rimozione dell’una a dispetto dell’altra, senza fare alcuna classifica discriminante, possiamo riconoscere che entrambe nei loro abituali ambiti di movimento hanno dato e danno ancora un contributo fondamentale all’umanesimo europeo, mantenendosi in radici fondative anche distinte ma essenzialmente votate al raggiungimento di comuni obiettivi di civiltà e giustizia.
Senza distogliere meriti ad alcuna di loro possiamo riconoscere che tra di esse è stato principalmente il socialismo che si è mostrato come cultura più penetrante nella società, anche per la sua massiccia presenza popolare, per la sua numerosa presenza sulle prime linee dei conflitti, un movimento che affrancatosi lungo la strada evolutiva che da sempre lo contraddistingue dalle componenti più radicaleggianti si è mostrato senza dubbio la cultura in possesso delle basi più solide ed è quello che ancora oggi ha maggiori possibilità di influire sulle sfide della nuova epoca.
Dentro il vecchio perimetro degli interessi dei singoli paesi, tutti protesi a difendere la loro dimensione nazionale, il riformismo complessivamente ma quello di matrice socialista in particolare si presentava quindi con la sua presenza istituzionale e con la sua azione uniforme e lineare, la prassi che meglio si adattava alla soluzione di molti dei problemi di sviluppo, e nelle sue varie e spesso differenti coniugazioni ha rappresentato una concreta, se non l’unica, risposta alla governabilità democratica, al coordinamento delle variazioni del mercato e del capitalismo, riformando il mondo del lavoro, intervenendo nei rapporti sociali sempre mutevoli, imponendo un livello di istruzione adeguato e provando a rispondere a tutte quelle tutele sociali che via via ponevano nuove domande.
Ma oggi, nuove richieste appaiono sul teatro europeo e mondiale.
Il superamento delle dimensioni nazionalistiche potrebbero precipitare entrambe le culture riformiste, nessuna esclusa, nella drammaticità di riscoprirsi in solitaria in una sorta di terra di nessuno, trovandosi indifese e ancora troppo avvinghiate alla loro fisionomia storica, potrebbero in sintesi trovarsi incapaci di continuare nel compito di svolgere la funzione di indirizzo e governo che le ha caratterizzate fino ad oggi in ambito nazionale.
Non ci sono dubbi che il paradosso politico che il mondo ci propone oggi spinge verso questa direzione, specialmente in un’Europa che vede se stessa ancora incompiuta e fortemente ancorata su difese nazionalistiche quella sua vocazione fondativa e unitaria.
La fase distruttiva della crisi che il mondo vive, portata dal liberismo senza regole, ha spinto le grandi nazioni mondiali verso un ripensamento di queste politiche e verso la riscoperta delle radici progressiste, ma ciò non accade in Europa dove, ed è questa la contraddizione, la destra conservatrice raccoglie ampi consensi nonostante la sua dichiarata sponsorizzazione di tali politiche rivelatesi ad oggi deleterie.
Alla luce di tutto questo diviene determinante il significato che deve ritrovare la politica riformista provando a mettere in luce tutte le contraddizioni del pensiero unico che il mondo conservatore vuole imporre, dimenticandosi volutamente della rete dei diritti che vuole lasciare inchiodata nel perimetro di ogni nazione.
Tutto questo non solo produce evidenti disuguaglianze individuali, nuove povertà, ma finisce anche con l’alterazione di regole della competizione e quelle stesse forme di regolazione del mercato tipiche di una matrice liberale.
Questioni di tale portata non possono essere sfuggevoli semplicemente usando l’artifizio retorico del superamento delle tradizioni inattuali.
Una suggestione questa così di moda in anni recenti al pari dell’andare oltre, verso un altrove più evocato che effettivamente descritto.
Ma non si fanno passi avanti neppure rimuovendo il necessario approfondimento che porta al pensiero concreto sul ruolo originale che potrebbe rivestire un riformismo forte in una fase tanto delicata di scadimento dei valori e della cultura.
Indicare una meta e trovare una bussola al tempo stesso diviene compito dirimente per una sinistra agganciata al riformismo che ambisce a rappresentare in ogni sua sfaccettatura.
La ricerca di entrambi non è conclusa, è appena iniziata, ma è la strada giusta, l’unica.
Se ce la farà la sinistra riformista, se riuscirà il riformismo europeo a ritrovare la propria funzione dentro e dopo la crisi della sua dimensione statale e nazionale dipenderà solo ed esclusivamente dalla volontà di uomini e donne che oggi come molto tempo fa non si vogliono piegare e credono fortemente che ogni società non è mai l’ultima, ma ne esiste sempre una migliore, innovativa.
Ma, naturalmente, sostenerlo in via di principio non basta, bisogna entrare nel merito, definire i caratteri di questa innovazione, tanto più alla luce degli eventi recenti, senza lasciare indietro nessuno.
Sarà questo un confronto appassionante per chi accetterà la sfida di misurarsi con un nuovo mondo, se non altro perché ci si può proiettare verso un orizzonte meno angusto.
Ma si può anche restare a difendere l’orgoglio di storie antiche e nobili, a condizione però di non lamentarsi poi se l’arroganza reazionaria del conservatorismo avrà la meglio.
Far ritornare l’Europa come punto di riferimento è uno degli obiettivi che le forze democratiche e progressiste dovrebbero porsi a contrasto del conservatorismo delle destre ora predominanti nella maggior parte dei paesi del vecchio continente.
Queste esperienze, non certamente le uniche, ma le più importanti dal punto di vista delle lotte e delle rivendicazioni per l’emancipazione dell’uomo, pur avendo come fine una comune visione hanno in se delle differenze.
Ma senza fare alcuna opera di rimozione dell’una a dispetto dell’altra, senza fare alcuna classifica discriminante, possiamo riconoscere che entrambe nei loro abituali ambiti di movimento hanno dato e danno ancora un contributo fondamentale all’umanesimo europeo, mantenendosi in radici fondative anche distinte ma essenzialmente votate al raggiungimento di comuni obiettivi di civiltà e giustizia.
Senza distogliere meriti ad alcuna di loro possiamo riconoscere che tra di esse è stato principalmente il socialismo che si è mostrato come cultura più penetrante nella società, anche per la sua massiccia presenza popolare, per la sua numerosa presenza sulle prime linee dei conflitti, un movimento che affrancatosi lungo la strada evolutiva che da sempre lo contraddistingue dalle componenti più radicaleggianti si è mostrato senza dubbio la cultura in possesso delle basi più solide ed è quello che ancora oggi ha maggiori possibilità di influire sulle sfide della nuova epoca.
Dentro il vecchio perimetro degli interessi dei singoli paesi, tutti protesi a difendere la loro dimensione nazionale, il riformismo complessivamente ma quello di matrice socialista in particolare si presentava quindi con la sua presenza istituzionale e con la sua azione uniforme e lineare, la prassi che meglio si adattava alla soluzione di molti dei problemi di sviluppo, e nelle sue varie e spesso differenti coniugazioni ha rappresentato una concreta, se non l’unica, risposta alla governabilità democratica, al coordinamento delle variazioni del mercato e del capitalismo, riformando il mondo del lavoro, intervenendo nei rapporti sociali sempre mutevoli, imponendo un livello di istruzione adeguato e provando a rispondere a tutte quelle tutele sociali che via via ponevano nuove domande.
Ma oggi, nuove richieste appaiono sul teatro europeo e mondiale.
Il superamento delle dimensioni nazionalistiche potrebbero precipitare entrambe le culture riformiste, nessuna esclusa, nella drammaticità di riscoprirsi in solitaria in una sorta di terra di nessuno, trovandosi indifese e ancora troppo avvinghiate alla loro fisionomia storica, potrebbero in sintesi trovarsi incapaci di continuare nel compito di svolgere la funzione di indirizzo e governo che le ha caratterizzate fino ad oggi in ambito nazionale.
Non ci sono dubbi che il paradosso politico che il mondo ci propone oggi spinge verso questa direzione, specialmente in un’Europa che vede se stessa ancora incompiuta e fortemente ancorata su difese nazionalistiche quella sua vocazione fondativa e unitaria.
La fase distruttiva della crisi che il mondo vive, portata dal liberismo senza regole, ha spinto le grandi nazioni mondiali verso un ripensamento di queste politiche e verso la riscoperta delle radici progressiste, ma ciò non accade in Europa dove, ed è questa la contraddizione, la destra conservatrice raccoglie ampi consensi nonostante la sua dichiarata sponsorizzazione di tali politiche rivelatesi ad oggi deleterie.
Alla luce di tutto questo diviene determinante il significato che deve ritrovare la politica riformista provando a mettere in luce tutte le contraddizioni del pensiero unico che il mondo conservatore vuole imporre, dimenticandosi volutamente della rete dei diritti che vuole lasciare inchiodata nel perimetro di ogni nazione.
Tutto questo non solo produce evidenti disuguaglianze individuali, nuove povertà, ma finisce anche con l’alterazione di regole della competizione e quelle stesse forme di regolazione del mercato tipiche di una matrice liberale.
Questioni di tale portata non possono essere sfuggevoli semplicemente usando l’artifizio retorico del superamento delle tradizioni inattuali.
Una suggestione questa così di moda in anni recenti al pari dell’andare oltre, verso un altrove più evocato che effettivamente descritto.
Ma non si fanno passi avanti neppure rimuovendo il necessario approfondimento che porta al pensiero concreto sul ruolo originale che potrebbe rivestire un riformismo forte in una fase tanto delicata di scadimento dei valori e della cultura.
Indicare una meta e trovare una bussola al tempo stesso diviene compito dirimente per una sinistra agganciata al riformismo che ambisce a rappresentare in ogni sua sfaccettatura.
La ricerca di entrambi non è conclusa, è appena iniziata, ma è la strada giusta, l’unica.
Se ce la farà la sinistra riformista, se riuscirà il riformismo europeo a ritrovare la propria funzione dentro e dopo la crisi della sua dimensione statale e nazionale dipenderà solo ed esclusivamente dalla volontà di uomini e donne che oggi come molto tempo fa non si vogliono piegare e credono fortemente che ogni società non è mai l’ultima, ma ne esiste sempre una migliore, innovativa.
Ma, naturalmente, sostenerlo in via di principio non basta, bisogna entrare nel merito, definire i caratteri di questa innovazione, tanto più alla luce degli eventi recenti, senza lasciare indietro nessuno.
Sarà questo un confronto appassionante per chi accetterà la sfida di misurarsi con un nuovo mondo, se non altro perché ci si può proiettare verso un orizzonte meno angusto.
Ma si può anche restare a difendere l’orgoglio di storie antiche e nobili, a condizione però di non lamentarsi poi se l’arroganza reazionaria del conservatorismo avrà la meglio.