Quaderni di Frontiera é uno spazio di cultura politica, uno strumento di riflessione pubblica che ha come obiettivo quello di alimentare la discussione allargandone il campo a professionalità e competenze. E’ un luogo dove possono incontrarsi e confrontarsi le diverse tradizioni culturali e politiche, sviluppando idee e proposte in grado di contribuire a ridefinire il campo progressista, guardando all’Europa e alle sfide internazionali.

sabato 14 novembre 2009

Appunti di Riformismo

Il tema di questo articolo potrebbe apparire confinato in un’area ben distinta, ma in realtà così non è, è un tema in realtà molto sconfinato, dal perimetro largo.
Affrontarlo in poche righe sarebbe improbo e riduttivo per l’importanza che ha ricoperto e che ricoprirà in futuro nel mondo.
La questione politica radicata soprattutto nel ‘900, con le sue esperienze nazionali è stata per i riformisti il terreno principale dell’azione.
Bisogna però guardare avanti e chiederci cosa potrà essere in Italia e in Europa un movimento riformista, chi potrà rappresentarlo, con quali problemi avrà a che fare, quali le sue funzioni, cosa è necessario innovare nella cultura politica, nell’organizzazione.
Ma non si può affrontare tutto questo senza inquadrare il ruolo che ha svolto in passato il riformismo essenzialmente socialista e progressista più in generale.
Tale comprensione diviene un’operazione preventiva per i partiti che aspirano a rappresentarlo oggi, soprattutto per marcare un confine, una distinzione nel tempo moderno dove tutti di dicono riformisti.
Questa definizione oggi viene fatta propria non soltanto da forze politiche che hanno da tempo evoluto il loro pensiero nel progressismo, ma anche da quelle votate ad una funzione ancora oggi più massimalistica, per non dire di quelle forze politiche prettamente reazionarie che con grande spudoratezza forgiano i loro programmi di vera e propria restaurazione sociale, coprendoli con il cappello della dicitura “riforme”.
Il riformismo non può essere racchiuso soltanto nel fare riforme, e infatti così non è.
Per questo per non fare confusione di ruolo bisogna guardare un momento dietro di noi, sapere e capire per spiegare a chi non sa, invitando alla riflessione tutti coloro che abbagliati dalle nuove parole tendono senza colpa a mixare tutto quanto in contenitori indefiniti.
Intanto il riformismo di espressione socialista ha avuto il merito di rendere più civile il capitalismo, con le sue lotte e la sua determinazione istituzionale, ma non avrebbe certo potuto raggiungere questo risultato da solo senza il ruolo di supporto portato da importanti tradizioni politiche e sociali, come le tradizioni cristiano sociali oppure la tradizione liberale inglese.
Ma in questa opera di riconduzione del capitalismo a più umani pratiche è stata fondamentale la tradizione socialista, principale fautrice di raggiungimento di giustizia, sicurezza, istruzione, stato sociale, responsabilità verso gli strati della società in sofferenza.
Tutto questo sarebbe stato più complicato ottenerlo senza la pressione del pensiero socialista, dei movimenti e partiti che ad esso erano legati, pur riconoscendone anche tratti in cui sono state coltivate illusioni e commesse ingenuità.
Ma tuttavia questo ruolo svolto dal riformismo socialista è stato riconosciuto insostituibile, perché al di là del ruolo essenziale nella costruzione di un sistema di stato sociale protettivo si pone come il vero erede dell’illuminismo europeo.
E come tale è ancora oggi protagonista di lotte per diritti civili e democrazia, così come lo è stato ieri per l’istituzione del suffragio universale, per portare diritti al mondo femminile, per l’abolizione dei diritti acquisiti come privilegio, contro la pena di morte, la depenalizzazione dell’aborto, per il rispetto delle diversità.
Chi ha svolto questo ruolo storico, principalmente i socialisti, non aveva l’obiettivo dell’abolizione del capitalismo e della costruzione della “società perfetta”, e proprio questo infatti fu il punto critico che definì la rottura interna, il momento di distinzione tra chi prospettava movimenti rivoluzionari e chi invece preferì il cambiamento graduale.
Il riformismo socialista nel suo tentativo, in gran parte riuscito, di regolatore del capitalismo ha sempre indirizzato il suo condizionamento su due filoni principali.
Il primo luogo cercando di lavorare internamente al sistema delle regole che non erano ostative allo sviluppo capitalistico, anzi in vari modi ne favorivano la crescita cercandone però il controllo non sempre riuscendovi.
In secondo luogo operando dentro il quadro istituzionale, utilizzandone gli strumenti a disposizione dello Stato stesso.
E’ qui che il riformismo ha trovato la sua identificazione nello Stato nazionale, e proprio questo Stato è stato il fulcro su cui sollevare e vincere le grandi questioni della promozione sociale e del Welfare di oggi.
Tutta questa opera faticosa, lunga, non priva di ostacoli è giunta fino a noi, nel nuovo secolo, e ciò significa che le sue radici pur lontane e a molti giovani sconosciute sono ancora forti, perché tutti i problemi che il riformismo progressista, identificato oggi nella nuova sinistra progressista, possono trovare soluzioni guardando a quella esperienza.
Oggi per affermarsi culturalmente il riformismo dovrebbe scorrere le sue pagine di storia, muovendosi dopo gli sbandamenti dei ultimi anni del ‘900 sui binari della realtà, come sembra aver capito dopo le ultime, e per fortuna brevi, esperienze illusorie.
La sinistra riformista di oggi, sembra segnare il passo, un pò per timori suoi, un pò per la forza impattante di una società che impara con ritardo a leggere a fondo.
Per affermarsi dovrebbe operare mantenendosi in equilibrio su tre pilastri.
Prima di tutto realizzando un partito vero, un partito serio, con i suoi iscritti, i suoi associati, con il coinvolgimento di vasti strati della cultura e del lavoro che fino ad oggi non sono stati coinvolti se non marginalmente.
In secondo luogo riprendere legami sociali che sono stati abbandonati o lasciati defluire altrove, come le leghe delle cooperative, il sindacato, le associazioni d’impresa, cioè tutte quelle forme associative che nel riformismo hanno sempre costituito una parte della sua struttura, rappresentando gli strumenti per un più largo rapporto sociale.
In terzo luogo la ricerca di ampie rappresentanze non soltanto come ovvio nelle Istituzioni, locali e nazionali, ma anche nei diversi livelli di potere costituiti dalle varie forme societarie pubbliche o miste.
Sembrerebbero cose ovvie, ma se guardiamo al storia degli ultimi anni, nessuna delle tre è andata avanti di pari passo con le atre due, una ha sempre prevaricato sull’altra, questo ha creato quella confusione di ruoli, quella sovrapposizione che oggi si vuole superare.
Oggi sta avvenendo in qualche misura ciò che avvenne verso al fine degli anni ’70, quando lo sviluppo della grande offensiva culturale e politica di stampo prettamente liberista mise le basi per la globalizzazione che abbiamo conosciuto oggi con gli effetti noti.
Questa offensiva liberista individuò allora, proprio nello Stato sociale realizzato faticosamente dal riformismo di matrice principalmente socialista e cristiano sociale, l’impedimento al suo affermarsi, l’ostacolo da demolire, ciò che più di ogni altra cosa impediva lo sviluppo delle forze produttive di tipo capitalistico.
Si diceva da più parti che lo Stato con le sue regole impediva il libero sviluppo del mercato, la libera concorrenza che in realtà era la ricerca del monopolio sui beni essenziali, le protezioni sociali erano pesi insostenibili da sacrificare e via di questo passo.
In tempi recenti è avvenuta la stessa cosa e il potere liberista ha potuto sviluppare queste sue aspirazioni con il risultato che sappiamo e che viviamo sulla pelle ogni giorno, sofferenza del lavoro dipendente, del lavoro d’impresa, demolizione dello stato sociale, ridimensionamento dell’istruzione pubblica, poca sicurezza, giustizia come un opzional fastidioso da asservire incondizionatamente al potere, saccheggio dell’ambiente e delle sue risorse.
Ma la grave situazione mondiale, nei suoi tragici sviluppi ne ha avuto uno positivo, e se vogliamo vedere un lato positivo nel dramma diremmo che ha fatto prendere atto dell’insostenibilità del modello neoliberista.
Ovunque, in tutto il mondo, diversi modelli di politiche di sviluppo stanno prendendo forma, politiche progressiste, radicate in quel riformismo antico al quale dobbiamo il poco di protezione che ci è rimasto.