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venerdì 20 novembre 2009

Acqua : Businnes da 8 miliardi di Euro..per parlare bisogna conoscere altrimenti è meglio tacere.....

Il nodo della questione è sempre lo stesso ed è tutto lì, nel titolo dell’articolo 15 del decreto legge n.135, o decreto Ronchi, tramutato in legge dal nostro Parlamento.
È lungo solo una riga ma vale miliardi, 8 - 10 circa per la precisione.
Soldi che usciranno dalle tasche di tutti i consumatori, soldi arriveranno in quelle di pochi grandi gruppi.
Il titolo, recita queste parole : «Adeguamento alla disciplina comunitaria in materia di servizi pubblici locali di rilevanza economica».
Ma che vuol dire?
Che l'affidamento della gestione dei servizi pubblici locali avverrà, in via ordinaria, attraverso gare ad evidenza pubblica.
E quali sono i servizi indicati?
Diversi (gas o trasporto, ad esempio). Ma tra questi uno in particolare: l’acqua.
Che con il decreto ha cambiato status. Non più bene pubblico, ma merce.
Di «proprietà» dello Stato, dopo una emendamento inserito all’ultimo minuto dal Pd, ma gestita da privati. Il massimo che si poteva ottenere alle condizioni date.
Un business colossale.
Quanto grande? Forse otto - dieci miliardi nei prossimi anni con un calcolo in difetto e solo parametrato sulla semplice gestione, quindi senza contare gli investimenti pubblici ed europei.
Ma come siamo messi oggi in Italia ?
Attualmente in Italia la rete idrica è coperta da circa 110 gestori divisi tra i 91 Ato (ambito territoriale ottimale) esistenti.
Grosso modo ad ogni Ato corrisponde una provincia e a crearli fu la Legge Galli del 1994 quando per la prima volta si aprì anche ai privati.
Oggi 64 di tali gestori dell'acqua sono a totale capitale pubblico e servono oltre la metà della popolazione, tutto il resto è a capitale misto o privato.
Almeno cos' fino a poche ore fa .
Nel giro di un anno o al massimo entro il 2012 l'affidamento dei servizi pubblici locali passerà in mano a «imprenditori o società in qualunque forma costituite». Cosi recita quanto approvato dal nostro Parlamento con un colpo di fiducia, l'ennesimo.
Anche con capitale misto dunque, purché «l’attribuzione dei compiti operativi connessi alla gestione del servizio» sia nelle mani del privato che non può «avere una quota inferiore al 40%» della società.
Il pubblico può rimanere ma è il privato che decide quanto o come investire.
E il privato deve fare profitti.
E i profitti si fanno abbassando gli investimenti e alzando le tariffe.
In Italia dal 1994 (anno della Galli) al 2005 sono stati investiti 700 milioni di euro l'anno nella rete.
Nei dieci anni precedenti oltre 2 miliardi di euro.
Nel 2008, secondo l’ultimo rapporto del Co.Vi.RI. (comitato per la vigilanza sull’uso delle risorse) relativo a 54 Ato, quindi circa la metà, risultavano realizzati solo il 56% degli investimenti previsti (sei miliardi).
Questo a fronte di un’impennata delle tariffe di oltre il 47-50% negli ultimi anni.
Acqua quindi seconda solo al petrolio. Inutile inventare il motore ad acqua direbbe qualcuno.
Facciamo qualche esempio per capire meglio di cosa si parla, perchè purtroppo spesse volte si ascoltano cose che dimostrano come non si conosca affato la questione, ma si parla solo per demagogia, così tanto per parlare e segnare una presenza su qualche giornale.
Prendiamo la Regione Toscana.
In Toscana, dove è più forte da anni la presenza di privati, ogni famiglia spende in media per l’acqua 330 euro all’anno a fronte di una dispersione del 34%.
I privati, quindi se non controllati e se non regolamentati, non portano alcuna efficienza, come in Toscana appunto dove ai cittadini era stato chiesta un'operazione attenta volta al risparmio.
Cittadini ligi e infatti il risparmio è arrivato.
Cosa ha fatto il gestore privato in conseguenza di questo ? Ha aumentato le tariffe!!


Questi sono fatti, non parole.Ma vediamo il resto della storia in Italia.
Nel nostro Paese le società più importanti, per capacità e fatturato, sono sei:



la romana Acea,
la bolognese Hera,
la ligure-piemontese Irenia
la triestina Acegas-Aps,
la lombarda A2A
Acquedotto Pugliese.




Le prime cinque sono quotate e sono multiutility a capitale misto dove però è il privato che detta le regole. Questo perché ha i soldi necessari e spesso anche il know how, e con le nuove norme avranno un peso ancora maggiore visto che gli enti locali non potranno avere oltre il 40% del capitale delle società in questione.



L’Italia diventerà un terreno fertile per le multinazionali estere, come le francesi Veolia e Suez, che tra gestione e incroci azionari, si stanno già mangiando fette di territorio con appetito in crescendo.
Per l’acqua «si assiste - per usare le parole dell’Antitrust - alla sostituzione di monopoli pubblici con monopoli privati».
Prendiamo ad esempio la storia di Acea.
La società serve il Lazio, una parte della Campania, l’ Umbria, e 4 Ato su sei della Toscana.
È il primo operatore nazionale del circuito idrico con il 10% del mercato complessivo.
È una società controllata al 51%dal Comune di Roma, al 10%circa dalla francese GdF-Suez e al 5% dal costruttore Caltagirone.
Ma presto il comune di Roma dovrà cedere a privati l’11% della società per un valore di circa 200 milioni. Lo stesso dovranno fare i comuni emiliani per Hera o quelli di Genova e Torino per la futura Irenia.
In totale sul mercato finiranno oltre un miliardo di euro in azioni.
Che andrà ai privati i quali investiranno per avere un ritorno.
Quindi basterebbe fare due conti semlici :



ma se i piani industriali di 87 Ato mostrano un incremento medio dei consumi di acqua del 17-20%, chi pagherà la privatizzazione dell'acqua?



Ovviamente la privatizzazione dell' acqua la pagheranno tutti i cittadini.