di GIAMPIERO PIOVESAN Meolo (VE)
Le porte aperte. Suprema metafora dell’ordine, della sicurezza, della fiducia: “Si dorme con le porte aperte”. Ma era, nel sonno, il sogno delle porte aperte; cui corrispondevano nella realtà quotidiana, da svegli, e specialmente per chi amava star sveglio e scrutare e capire e giudicare, tante porte chiuse”. Prendo spunto dal pensiero di Leonardo Sciascia per esprimermi su un problema, reale o percepito come tale, molto in voga in questo periodo, ovvero quello della sicurezza legata al fenomeno dell’immigrazione. Non passa giorno in cui non riceviamo notizie, opinioni e prese di posizione sull’argomento in questione, spesso divergenti, ambigue e negativamente spiazzanti. Preso atto che l’immigrazione è un fenomeno umano, sociale ed economico di peso internazionale, insito nella globalizzazione e nel moderno modo di pensare la società, si deve riuscire ad utilizzarlo come risorsa aggiunta all’interno di una schema vasto di sviluppo armonico e coordinato. Ma a causa di una cronica mancanza (spiccatamente italiana di politiche rivolte alla (ri)strutturazione dei meccanismi d’integrazione e di accoglienza da una parte, e di quelli riguardanti la sicurezza dall’altra, il nostro sistema si trova scoperto e indifeso dinnanzi, non solo ai pesanti flussi di immigrazione, ma anche all’ordinaria amministrazione di problematiche collegate ad essa. Tutto ciò è aggravato dal fatto che una certa classe dirigente tramuti (l’immigrazione) per opportunismo politico (!!!) e per un deficit di comprensione e di valorizzazione, in invasione selvaggia e prevaricatrice del sacro suolo italico. Questa ignoranza istituzionale è spalleggiata pericolosamente da quella istituzionalizzata in certe frange cittadine e in certa parte dell’opinione pubblica, un’ignoranza che consiglia di adottare in tutta fretta, senza raziocinio, misure populiste e d’impatto (solo) mediatico, dalle conseguenze quanto mai imprevedibili, che evitano di affrontare la questione alla radice. Se è vero, e lo è, che: “Lo straniero è colui che oggi viene e domani resta” (George Simmel), l’Italia deve proporre azioni concrete per l’assorbimento dell’immigrato nel tessuto sociale e rispondere prontamente alle possibili problematiche scaturite da tale ingresso; delle procedure di stabilizzazione che rivestano il doppio ruolo di assimilamento e di mantenimento dell’ordine nella società. Mi chiedo come in stati attigui al nostro, sia maturata nel tempo, una politica di integrazione che ha dato prova di affidabilità ed efficacia nel saper dosare rigore e appoggio assistenziale, con la fondamentale capacità di tradurre quella che appariva un’incognita destabilizzante in una ricchezza. In Italia invece latitano simili metodologie con l’unico risultato di veder degenerare una situazione oggettivamente difficile ma colpevolmente incompresa e distorta. L’immigrazione non è un fenomeno estemporaneo, si lega alla drammatica situazione in cui versano i paesi da dove trae origine, una situazione che spinge forzatamente parte delle loro popolazioni ad espatriare alla ricerca di uno sbocco risolutivo per il loro futuro. Molti settori economici e sociali italiani sopravvivono grazie a questo fattore (viste le carenze statali) con inevitabili ripercussioni sugli equilibri di un sistema già in forte regressione e decadenza. L’effetto “invasione straniera” oramai, sembra radicarsi nel modus pensanti generale, legittimando così forme esasperate di protesta, sintomatiche di una difficoltà reale nell’affrontare l’immigrazione ma soprattutto spie di un malessere sociale ed istituzionale. Gli urti provocati dal fenomeno migratorio si scaricano sui meccanismi identitari delle NOSTRE città, del NOSTRO sentire comune e del NOSTRO complesso mentale fratturando il sistema lì dove è più sensibile e vulnerabile. Il collante più naturale dovrebbe essere lo Stato che garantendo risposte efficaci e coerenti alla cittadinanza, andrebbe a sgravare da un peso importante i comuni, le province e le regioni. Ma proviamo a capire se le insicurezze degli italiani derivino esclusivamente dai Rom e dagli immigrati. Più probabilmente i “mali” citati sono la risultante di ciò che sta a monte cioè di una società alla deriva, lasciata a se stessa, ai suoi conflitti laceranti, che annaspa a causa di condizioni finanziarie e lavorative precarie, di uno Stato lassista ed in perenne ritardo sulle progettualità sociali ed economiche, di una giustizia che non è più giustizia, di una sicurezza che manca in molti (altri) settori, di una paura generale che cancella il senso civico e di comunità. E qui tornano in gioco le “porte aperte”, non solo metafora di estrema fiducia nella sicurezza tout court, ma anche volontà di allargare gli organismi sociali e politici, senza pregiudiziali, al mondo altro, ai flussi innovativi che irradiano i nostri territori, intercettandone gli elementi più benefici per riabilitare il panorama italiano e per rinvigorire un progresso strutturale quanto mai indispensabile. Lascio, la conclusione di questa mia riflessione, alle sagge e quanto mai attuali parole, proferite nel (non troppo lontano) 1760, da Benjamin Franklyn: “Coloro che sacrificano un po’ di libertà in cambio di un poco di sicurezza, non meritano alla fine né libertà né sicurezza”.