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sabato 7 novembre 2009

Giovani immigrati…il loro destino è la ribellione.
inviato da Maglio Domenico

Il discorso sull’immigrazione non è per niente facile, anzi è più complicato di quel che sembra.
Se lasciamo perdere per un attimo la nostra storia italiana che è storia anche di grandi migrazioni verso l’occidente e verso l’oriente e ci concentriamo sulla questione di oggi, forse riusciremo a fare considerazioni che in qualche modo potrebbero aiutarci a comprendere.
L’immigrazione nel nostro paese non è una novità dell’ultimo anno, ma un fenomeno che già da tempo è parte del nostro mondo, e questa storia ha già coinvolto più di una generazione, persone che vengono verso quel mondo in cerca di quel benessere che per loro è tale mentre per noi queste loro aspettative, quei loro progetti ci sembrano miserevoli.
Vorrei parlarne con tutti i limiti che mi sono propri, ma guardando non alle precedenti ma all’ultima generazione di immigrati, forse perché anagraficamente mi sono più vicini.
La seconda generazione di immigrati.
Una seconda generazione che a mio giudizio è per sua natura destinata alla rivolta.
Lo insegna oramai da un secolo la sociologia dell’immigrazione e non è certo difficile intuirne i motivi di tale giudizio.
I figli degli affamati giunti da lontano in cera di un lavoro qualsiasi, purchè sia tale, non provano la stessa rassegnazione dei loro genitori.
Percepiscono semmai la falsità di una cittadinanza formale che è stata concessa loro dal paese in cui sono nati, ma senza mai sentirsi veramente a casa propria.
Il figlio di un immigrato che è nato in Italia non vede questa coma la sua casa.
Invece di stupirci per la scoperta della “rabbia nera” che per da qualche tempo si manifesta con intemperanze sempre più accentuate verso gli “italiani bastardi”, dovremmo a mio parere rammaricarci di non averne compreso in tempo le avvisaglie.
Tutti ricordiamo lo scatenarsi delle “pandillas”, delle bande giovanili latino-americane per esempio a Genova già da tre o quattro anni, le rivolte nella Chinatown milanese con tanto di bandiere rosse al vento di soli due anni fa.
E chi non ricorda la pacifica disobbedienza civile dei beurs, i giovano maghrebini laici che in quel di Treviso inscenarono per mesi adunate di “preghiera proibita2 per protestare contro il generalizzato boicottaggio del culto islamico perseguito dalla Lega Nord.
Ma si ricordano anche le manifestazioni dei Rom, timide per la verità, , quelle dei sinti oggetto di sgomberi e taglio di luce, acqua nelle baraccopoli romane.
Bisogne ricordare queste cose che sono per altro solo alcune delle quali abbiamo notizie.
I Black italo-africani di quella che io chiamo seconda generazione sono dunque solo gli ultimi ad organizzarsi, forse perché più deboli di altri, ma il conflitto etnico fa già parte del nostro panorama metropolitano.
Inesorabili presagi di una guerra favorita dall’assenza di sensibilità condivisa, e solo di rado i loro morti ottengono la visibilità tributata agli italiani assassinati da stranieri.
Tanto meno la cronaca registra gli innumerevoli episodi quotidiani di umiliazione della loro dignità.
Anche perché nel nostro paese gli immigrati nonostante molti di loro abbiano già conseguito con fatica la cittadinanza italiana, restano quasi del tutto privi della rappresentanza politica di cui già godono nelle altre democrazie europee.
Quando parlo di seconda generazione, purtroppo mi soffermo soprattutto sulle nude cifre, i giovani di origine straniera erano circa 400.000 nel 2004 ma saranno un milione tra un paio di anni, ma nonostante questo fatichiamo a inquadrarne la loro condizione esistenziale.
Sono ragazzi, ragazzi i cui genitori hanno pochissimo tempo da dedicare alla loro educazione, famiglie spesso ancora separate da oceani, con madri e padri impreparati a seguire il percorso scolastico dei figli, quando questo percorso non gli viene ostacolato in modo dispotico e razzista.
Famiglie che quasi sempre , al contrario nostro, prive del tutto di quel sostegno di accadimento fondamentale rappresentato dai nonni.
Quanti di noi se non ci fossero i nonni potrebbero provare a costruirsi in tranquillità un domani?
Una seconda generazioni dunque di giovani smarriti e il più delle volte soli.
Eppure se ci pensiamo bene si tratta di ragazzi bene o male inseriti in una società che fornisce loro in senso generale un reddito sufficiente alla sopravvivenza, giovani che condividono le mode, i miti consumistici, le aspirazioni dei loro coetanei.
Qui scatta la maledizione per loro.
La maledizione di un sistema bloccato che penalizza qualsivoglia aspettativa di ascesa sociele, lo è per i nostri figli, figuriamoci per un immigrato.
Quindi i figli degli immigrati sono italiani a tutti gli affetti, ma rappresentano ragazzi che tenderanno come i nostri figli d’altronde, a rifiutare i lavori tipici che noi associamo solo agli immigrati, lavori di sfruttamento, quei lavori che con un po di arroganza chiamiamo “lavoro di serie B”, quei lavori …che noi non vogliamo più fare…come se ogni lavoro non avesse la sua dignità.
La seconda generazione non vuole più fare, e con ragione aggiungo, i lavori e la vita dei loro genitori, anche perché quella vita difficile ce l’hanno sotto gli occhi tutti i giorni.
Ma in fondo quante volte noi abbiamo detto ai nostri figli…”tu non devi fare la vita che ho fatto io….”
In questo caso è il contrario, sono i figli a dirlo ai genitori.
Ragazzi che entrano quando riescono nel mondo del lavoro con standard occidentali, il più delle volte del tutto ignari delle condizioni di vita attuali nei loro paesi di origine .
Se la prima generazione immigrata era disposta a sopportare umiliazioni e enormi sacrifici pur di realizzare un progetto di sistemazione a lungo termine, i giovani nati in Italia, o approdati da noi piccolissimi, sono titolari di ben altre aspettative.
E se l’alternativa proposta loro fosse solo quella fra condizioni degradanti e una vita di espedienti potrà apparire loro conveniente pur di avere qualcosa come gli altri il reclutamento o l’auto organizzazione criminale.
Tutto pur di non fare la vita dei loro genitori, sfruttati per pochi euro nel lavoro nero.
E’ in questo retroterra che si diffonde il pericoloso stato d’animo degli stranieri in Patria, intenzionati a sfuggire l’antica condizione che li vuole alle attività produttive ma privi di cittadinanza.
E tutto questo senza che possa essere neppure presa in considerazione l’ipotesi di un ritorno al paese da cui partirono i loro genitori, un paese che gli deve sembrare una entità mitica solo nella loro fantasia, che prende forma nel racconto dei più anziani, paesi d’origine che non hanno mai visto se non sugli atlanti, paesi mitici che diventano alla meglio una nuova forma di nostalgia che li sfiora soltanto, che le diaspore continue esasperano, ma restano sconosciuti.
La seconda generazione dunque è Italiana, piaccia o non piaccia, quindi non estradabile.
Tempo fa a Milano, esattamente a Cernusco sul Naviglio, c’era un funerale,
La tunica rosa del religioso che officiava la cerimonia non era solo un vestito, era ben più che un richiamo folkloristico, perché quella salma era di un cittadino Itaiano che stava per essere imbarcata su un aereo, destinazione Burkina Faso mi hanno detto, un paese lontano migliaia di chilometri dal luogo in cui fino a poco prima aveva vissuto.,
Un segno di rottura con un paese rivelatori d’improvviso atrocemente inospitale.
In Africa, la seconda generazione può ritornarci da morta, mentre altri soffriranno di una cittadinanza dimezzata.
Coltiveranno probabilmente un’africanità che le circostanze paiono contrapporre all’italianità, spezzando il percorso dell’integrazione cui pure avevano lavorato gli insegnanti, gli amici, i vicini di casa, i datori di lavoro.
Il recupero di un’identità alternativa anche se spesso deformata e posticcia sembrerebbe l’esito inevitabile di questa disgregazione sociale in atto.
A questo ci sta portando il dispotismo e la cattiveria gratuita dei secessionisti italiani, per fortuna minoritari nella condivisione delle loro idee devianti da qualsiasi democrazia del mondo.
Coloro che annunciano guerre preventive contro culture diverse dalle nostre non credo si rendano conto dei guai che a tutti faranno passare, e a quanto pare neppure le invocazioni della Chiesa sulla tolleranza sembrano ottenere effetti dissuasivi.
La deriva di una guerra annunciata, il diffondersi sul nostro territorio di un conflitto etnico cui si sentono richiamati molti cittadini Italiani immigrati di seconda generazione, procede dunque come la più classica delle profezie di sventura che si auto avverano.
A renderlo probabile e ancora più pericoloso è però un’altra caratteristica del nostro sistema.
Gli immigrati a noi sono privi di qualsiasi rappresentanza politica.
Con il bel risultato che gli unici portavoce disponibili sul territorio e nel teatro mediatico sono dei capi comunità, per loro natura separatisti, spesso legittimati solo da una pseudo autorità religiosa integralista.
Non esistono quindi dei leader democratici dell’immigrazione,perché salvo eccezioni rilevanti, i partiti politici italiani fino ad ora gli hanno esclusi quasi in toto.
Un deficit di rappresentanza che la seconda generazione rischia di colmare ben presto affidandosi come sta già avvenendo a capi clan e militanti radicali, scavando ulteriormente il fossato della mancata integrazione.
Viene da domandarsi se un paese civile possa comportarsi così oppure debba invece fare seri ragionamenti per trovare soluzioni adeguate.